Una galassia di notizie ci avvolge quotidianamente dandoci la sensazione di avere il polso di come va il mondo. Con un po’ di attenzione ci accorgiamo che la quasi totalità dei media generalisti narra esclusivamente di fatti e personaggi del mondo occidentale. Poiché queste star o vip o politici si muovono in continuazione, altri paesi a volte fanno loro da sfondo, per una narrazione che riguarda i nostri interessi e dal nostro punto di vista. Solo quando accade la tragedia, sia uno tsunami o un rapimento di un occidentale, oppure quando emerge una malattia nuova che potrebbe arrivare a minacciare anche noi allora si parla di quella parte del mondo, beninteso nei limiti che ci fanno comodo: per farci sentire sicuri e superiori.
Capita, pertanto, di sapere dettagliatamente cosa accade sotto l’epidermide di Angelina Jolie, icona della bellezza dalla pelle chiara, senza occhi a mandola o naso schiacciato, ma di ignorare completamente l’esistenza di una popolazione che rischia il genocidio.
Non è mio preconcetto che le vittime siano sempre innocenti; anche le vittime hanno il diritto di essere canaglie, perbacco, ma fintanto che subiscono angherie, violenze e minacce hanno il diritto di essere alla nostra attenzione almeno quanto gli scontrini del Movimento 5 Stelle.
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Si chiamano Rohingya e sono una delle 135 etnie della Birmania/Myanmar. Il loro numero attualmente sfiora il milione, sono musulmani, vivono nella parte occidentale del paese. Da decenni conoscono la discriminazione, la soppressione dei diritti civili, la persecuzione. Noi, invece, da decenni conosciamo soltanto la vicenda di Aung San Suu Kyi, arrestata del 1990, rilasciata e nuovamente arrestata più volte fino alla liberazione del 2010. La sua colpa era aver vinto le elezioni, mentre la Giunta militare al potere non aveva intenzione di rispettare l’esito del voto.
Si vuole che i Rohingya diventino apolidi a tutti gli effetti – e nel 1982 è stata promulgata una legge apposita - a motivo della loro religione e del dialetto che li denuncerebbe come migranti, dell’epoca coloniale britannica , dal nord dell’India e dal Bangladesh. Non sarebbero autoctoni di un paese che a maggioranza pratica il Buddhismo Theravada, ancora con ampia diffusione dell’animismo. Precisamente la religione è diventata carburante dell’odio verso questa che l’Onu stesso, ed è tutto dire, definisce la minoranza più perseguitata al mondo. Nel 2012 nello stato di Arakan, o Rakhine, sono scoppiati scontri violenti con la popolazione buddista. Il Governo è intervenuto, non per sedare, ma per spalleggiare l’etnia maggioritaria contro i Rohingya.
Che cosa abbia acceso la miccia non è chiaro, dipende da chi effettua la narrazione; si parla dello stupro e uccisione di una ragazza Rakhine, buddista, seguito per vendetta dall’uccisione di 10 uomini musulmani, in un’escalation che ha portato alla distruzione di interi villaggi. I portavoce delle associazioni dei Rohingya denunciano che il 28 giugno 2012 ben 650 persone sono state assassinate, 1200 sono disperse, 100.000 circa sfollate. I dati del Governo sono – un po’ come capita in Italia con i dati dei manifestanti e di quelli della polizia – infinitamente inferiori.
Ci si chiede come abbia potuto Aung San Suu Kyi non dire una parola in quel frangente che era stato uno choc anche per le organizzazioni umanitarie. Ah, i Nobel!
Scandalo nella tragedia: varie organizzazioni di monaci buddisti, in precedenza tanto attivi nel campo della lotta per la democrazia, hanno partecipato alle violenze e bloccato l’arrivo degli aiuti umanitari.
In Occidente, grazie al simpatico Dalai Lama, Oceano di Saggezza, e al persuasivo Richard Gere, si ha dei buddisti un’idea di mitezza e sopportazione, assai utile in funzione anti-cinese. Basterebbe un’occhiata alla storia del Tibet per cambiare opinione. I monaci sapevano bene farsi guerra tra monasteri e vivere a carico della comunità, ricambiando le offerte ricevute con l’accoglienza dei bambini nel monastero , dove avrebbero provveduto al lavoro manuale. Anche Buddha coma altri profeti è stato mal servito dai suoi seguaci.
Chi alzerà la voce per difendere i Rohingya ridotti a essere dei pezzenti senza patria? Vano sperare nella comunità islamica araba, troppo occupata in giochi geopolitici, vano sperare nei paesi occidentali che non valgono i calzari Pericle, o il berretto di Voltaire.
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In questi articoli
- Saving Rohingya people by truth not by lies 2012, The World keep silent! 2013
fatti e immagini, da vedere con cautela (graphic)